CARAIBI, Haiti. Corruzione e rivolta per lo scandalo fondi Petrocaribe: Moïse contestato, Onu impotente

Ad Haiti si intensificano le proteste di piazza inscenate contro il presidente Jovenel Moïse. Secondo fonti ufficiali del governo di Port-au-Prince il bilancio dei ripetuti scontri tra i manifestanti e la polizia ammonterebbe a una decina di vittime, una cifra però contestata dall’opposizione che invece parla di cinquanta morti dal mese di febbraio. La situazione nel paese caraibico torna dunque a essere tesa.  Il mese scorso i manifestanti hanno protestato nella capitale e in altre città chiedendo le dimissioni del presidente, accusato assieme al governo in carica (e a quello precedente) di corruzione e malversazione. L’opposizione vuole lo svolgimento di un’indagine che faccia luce sull’utilizzo di 3.800 milioni di dollari che Haiti avrebbe ricevuto quale beneficiario del programma Petrocaribe, l’organizzazione internazionale di mutua assistenza fondata nel 2005 dall’allora presidente venezuelano Hugo Chávez Frias assieme ad alcuni paesi dei Caraibi.

 

Un accordo, quello promosso da Caracas, mirante all’eliminazione degli intermediari nella compravendita del petrolio, favorendo in questo modo direttamente i Paesi latinoamericani interessati grazie ai prezzi preferenziali della materia prima energetica imposti. Moïse viene accusato di essere stato coinvolto in prima persona negli episodi di corruzione che avrebbero favorito l’appropriazione indebita dei fondi erogati nell’ambito del Petrocaribe nel corso della precedente presidenza in carica ad Haiti. Nei giorni precedenti le proteste, la magistratura contabile haitiana aveva reso pubblici i dati dai quali risultavano irregolarità nella gestione dei fondi erogati da Petrocaribe tra il 2008 e il 2016, evidenziando il coinvolgimento di quindici tra ex ministri e attuali funzionari ancora in servizio. Tra i soggetti coinvolti nello scandalo secondo la corte figurerebbe anche un’impresa gestita dallo stesso Moïse prima che questi venisse eletto alla presidenza, che avrebbe in seguito distratto i fondi ottenuti al fine di realizzare infrastrutture e sviluppare progetti di natura economica e sociale utilizzandoli invece in opere mai completate.

 

La difficilissima situazione in cui versa Haiti ormai da diversi anni ha favorito la rapida radicalizzazione della protesta, che si è ben presto trasformata in una vera e propria rivolta. La posizione di Moïse, già debole, è divenuta oltremodo precaria. Eletto una prima volta nel 2015, ma con l’esito delle urne contestato e in seguito annullato a causa di brogli e irregolarità, ma egli si era visto attribuire il mandato presidenziale alle elezioni svoltesi l’anno seguente, vinte con 590.000 voti, ma con un’affluenza pari al 20% degli aventi diritto al voto. La popolazione è stremata, in quanto vive una prolungata situazione di emergenza a causa dei danni provocati dall’uragano Matthew e, in precedenza dalle ripetute calamità naturali come il catastrofico terremoto.

 

La Comunità Caraibica (CARICOM) ha espresso la propria preoccupazione per la perdita di vite umane negli scontri ad Haiti, gli Usa e il Canada hanno messo in allerta i propri cittadini raccomandando loro di non recarsi nel paese destabilizzato visti gli ultimi sviluppi della situazione. Secondo Emanuele Torre, analista dell’Istituto Affari Internazionali, per le organizzazioni internazionali (in particolare l’Onu) Port-au-Prince rappresenta un «proprio campo minato». La missione MINUSTAH (Missione di stabilizzazione delle Nazioni unite ad Haiti), decisa dal Consiglio di sicurezza nel 2004 e conclusasi tre anni dopo – che si poneva l’obiettivo della transizione democratica al potere dopo la destituzione del presidente Aristide – non ha conseguito alcun effetto concreto. Infatti, militari della forza di pace appartenenti al contingente dello Sri Lanka rimasero coinvolti in uno scandalo di prostituzione minorile, mentre altri caschi blu verrebbero indicati come tra i responsabili della diffusione dell’epidemia di colera che dal 2010 ha cagionato la morte di circa 9.000 persone. Nel dicembre 2017 il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ammise pubblicamente le responsabilità dei caschi blu nella diffusione dell’epidemia. Il primo caso di colera era stato infatti causato a Mirebalais nel 2010 dall’acqua di scarico di una base dell’Onu dove erano accampati 454 militari nepalesi, fogna che refluiva nel fiume Meille, le cui acque venivano usate dalla popolazione locale per gli usi domestici.

 

Dall’ottobre 2017 l’Onu ha inviato nel Paese caraibico una nuova missione, la MINUJUST, alla quale partecipano 1.300 agenti di polizia di vari stati e 350 civili aventi il compito di formare il personale della polizia haitiana, supportando il governo di Port-au-Prince nell’azione di riforma del sistema giudiziario in modo da affermare il rispetto dei diritti umani. Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale, in suo indice di sviluppo umano è più basso del continente americano.

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