ECONOMIA E SOCIETÀ. Apocalipse now: élite in crisi, il mondo verso la catastrofe? 

Inesorabilmente vanno esaurendosi i modelli di matrice liberale che dalla fine del confronto bipolare tra Usa e Urss avevano informato l’azione politica di buona parte dei paesi del mondo. Essi, sulla base del paradigma incarnato dagli Stati Uniti d’America, hanno fatto totalmente propri (almeno nelle rispettive enunciazioni ufficiali di principio) i valori della democrazia, del libero mercato e della tutela dei diritti umani.

Nel momento magico della distribuzione dei “dividendi della pace” seguito al 1989 il potere apparentemente taumaturgico dei fora internazionali, così come concepiti e organizzati dalle élite dominanti, hanno irradiato la loro calda atmosfera di sicurezza, illudendo i più – complice un sistema mediatico che ha evitato di svolgere il ruolo di “coscienza critica” della democrazia – che in quelle sedi potessero venire composte tutte le controversie del pianeta, indirizzando l’umanità verso un radioso futuro.

Non è così, poiché luoghi come il G7 o il G20, assumendo non infrequentemente le sembianze di una disordinata riunione di condominio, non sono stati mai del tutto rappresentativi dei reali soggetti sulla base della loro portata in termini economici e demografici e, comunque, in ogni caso scarsamente efficaci. Oggi sono in molti a lamentarsene e a lanciare segnali di allarme sul loro stato di crisi. Tuttavia il vizio di fondo delle élite dominanti ha continuato a condizionarne gli atteggiamenti e, conseguentemente, gli eccessi di autoreferenzialità ne hanno accentuato l’incapacità di comprendere la realtà per quello che è.   

Nel frattempo la vita è andata avanti e, malgrado le sentenze di Francis Fukuyama, «la storia non è affatto finita», poiché il mondo non ha raggiunto la sua dimensione finale di sviluppo politico. Negli ultimi trenta anni le economie di stampo capitalistico basate sul libero mercato sono più che raddoppiate, ma i cambiamenti hanno interessato radicalmente anche questo genere di sistema economico: il capitalismo si è trasformato in economia globale finanziaria, intrecciandosi turbinosamente con il rapido sviluppo tecnologico.

In tempi non sospetti, Karl Marx profetizzò che «lo stregone – intendendo con esso il capitale – sarebbe arrivato al punto di non essere più in grado di dominare le forze da lui stesso evocate». E siamo all’oggi. L’età dell’oro del liberalismo sembrerebbe terminata e con lei anche i grandi fenomeni mondiali di assestamento istituzionale che interessavano a Washington.

In Europa, dove un’entità sovranazionale ha gradualmente preso il posto degli stati nazionali, a un certo punto le contraddizioni sono esplose con tutti i loro effetti dirompenti. Dentro i gusci degli stati westfaliani in crisi, svuotati sempre più dalle loro competenze da Bruxelles, ha ripreso ad ardere la pericolosa fiamma del nazionalismo, alimentata da un sovranismo non del tutto privo di ragioni.

Etichettati spesso impropriamente come «populisti» dagli organi di comunicazione e propaganda mediante i quali le élite condizionano le opinioni pubbliche, questi movimenti di protesta a volte sconfinanti nel radicalismo, altre privi di concrete strategie, stanno conquistando sistematicamente la scena politica. Ottengono questo risultato anche perché il contesto nell’ambito del quale sono sorti glielo consente. Il sistema, infatti, costituisce l’humus ottimale per le forze anti-sistema. Ovvio. Meno ovvio però, almeno apparentemente, il fatto che tale humus venga concimato dalle stesse élite detentrici del potere finanziario e mediatico globale, loro malgrado.

Chissà se questa rapida transizione dalla democrazia rappresentativa al dominio degli over the top (ormai sganciati dal “vecchio” capitalismo industriale) in fondo, qualcuno non l’abbia voluta. Una democrazia rappresentativa nella quale, nel bene o nel male, in Occidente finora si è vissuto abbastanza decentemente e che molti sperano di non dover rimpiangere. Si imporrà il salvifico potere dell’universo digitale, per il quale siamo tutti meno soli e allo stesso tempo accuratamente profilati e condizionati.

Gira voce che l’ingenua Biancaneve sia scesa giù in città con la piena del torrente che scorre su sui monti. La giovincella – affermano fonti autorevoli – sarebbe fermamente convinta dell’autenticità di quella leggenda metropolitana che vuole quatto genietti nerd chiusi nel garage di un sobborgo residenziale di una città degli States abbiano progettato mirabolanti sistemi destinati a rivoluzionare la cibernetica e i consumi, rendendoli così multimiliardari. Ma questo lo capisce subito anche la nostra ingenua Biancaneve: si tratta del celebrato sogno americano. Un sogno davvero tutto americano, tant’è vero che di quei ragazzi chiusi nel garage era al corrente anche il Dipartimento di Stato a Washington.

E che dire delle romantiche “primavere arabe”? Anche in questo caso Biancaneve non ha dubbi: a infiammare le coscienze dei popoli del mediorientali e nordafricani, spingendoli alla lotta contro i tiranni non islamisti al governo nei loro paesi  sono stati alcuni intelligenti e sensibili giovanotti armati solo di computer portatili e buoni sentimenti. Animati tutti da ideali superiori e da una buona dose di soft power occidentale. Peccato che quasi tutte quelle primavere siano ben presto divenute cupi inverni.

E in tutto ciò, che fine hanno fatto i “registi” dietro a questi epocali sconvolgimenti? Beh, per il momento se la passano ancora ottimamente, tuttavia, nel loro operare non hanno mancato di rimarcare alcuni gravi limiti. Essi – le élite dominanti – non hanno adeguatamente compreso gli evidenti segnali che indicavano come imminente la catastrofe. Vite dorate quelle delle élite occidentali in crisi, inconsapevoli della realtà se non attraverso la lettura dei dati statistici e le proiezioni relative a mercati e fatturati. Il loro angusto campo visivo le ha resi incapaci di antevedere e prevedere gli eventi.

Erano troppo impegnati ad accumulare i mega dividendi frutto della finanziarizzazione dell’economia e di quegli algoritmi prodigiosi che in un nanosecondo effettuano  migliaia di operazioni sulle borse valori di tutto il mondo. La forbice intanto si allargava. La tendenza all’accumulazione di ingenti ricchezze senza che ci si ponessero dei limiti ha portato alla formazione di patrimoni spropositati. Ma a fronte di una devastazione sociale della quale non è stata compresa l’onda lunga. 

Scrivono Carlo Jean e Paolo Savona nella loro opera collettiva “Intelligence economica, il ciclo dell’informazione nell’era della globalizzazione” (Rubbettino Editore, 2011), che con la caduta del muro di Berlino la tendenza espansionistica dell’attività economica si è rafforzata e ha preso avvio un processo economico-politico che è stato definito «globalizzazione». Esso consiste nella competizione per il controllo dei mercati, dunque la conquista e lo sfruttamento degli spazi economici, rendendo la concorrenza ancora più indipendente dal controllo fisico del territorio.

Lo sviluppo delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni è stato pienamente sfruttato dal settore finanziario che, per propria natura, è dematerializzato. Questi eventi epocali hanno caratterizzato il processo economico, trasformando il capitalismo da “industriale” a “finanziario”, con la dominanza degli strumenti della finanza rispetto a quelli della produzione. Il rapido sviluppo delle innovazioni in questo campo ha generato un’ulteriore mutazione, e i prodotti derivati hanno trascinato il mondo sulla soglia di una crisi irreparabile.

Se in precedenza, nel periodo della divisione del mondo fatta a Yalta, i rapporti politici avevano esercitato una rilevante influenza sulla determinazione di quelli economici in entrambe le aree di influenza delle due superpotenze di allora, nell’era della globalizzazione accade il contrario e i rapporti economici prevalgono su quelli politici delineandone gli ambiti di sviluppo. Gli stati sovrani di tipo “westfaliano” tendono a essere integrati sul piano economico, ma perdono progressivamente quote crescenti di sovranità con effetti sul perseguimento dei loro obiettivi istituzionali, che spesso divengono incompatibili con le regole della stessa globalizzazione.

I governi nazionali non sono più in condizione di perseguire i loro obiettivi in maniera indipendente dalla volontà delle organizzazioni sovranazionali cui aderiscono e dalle istituzioni proprie del mercato (ad esempio le agenzie di rating). Nel momento in cui i governi entrano in conflitto con questi soggetti vengono costretti ad adeguarsi alle regole del gioco, pena un sensibile peggioramento del livello di vita delle loro popolazioni. Tutto questo al netto delle cosiddette «emergenze planetarie», problemi a diffusione globale che non sono fronteggiabili senza un coordinamento internazionale.

Nel corso del lungo confronto bipolare tra Urss e Usa le basi sulle quali si combatté la guerra fredda furono di natura ideologica, mentre in quello attuale tra Usa e Cina l’oggetto della disputa è il primato economico mondiale. Chi avrà i big data e l’intelligenza artificiale otterrà il successo. Molte le incognite all’orizzonte. Questo complesso combinato composto farà scoppiare una guerra? Come reagiranno agli eventi le “tribù” nelle quali è tornata a organizzare la propria esistenza l’umanità?  Gli stati così come li abbiamo conosciuti reggeranno, oppure l’organizzazione politica generale (e con essa il mantenimento dell’unità e dell’ordine attraverso il monopolio della forza legittima) cambierà nel senso di un ritorno a forme di esercizio privato della violenza? Si continuerà a fare riferimento alla cosiddetta “comunità internazionale” e se sì, in quali forme?

Sono molteplici i fattori concomitanti che hanno velocemente condotto alla crisi: la rivoluzione digitale, le migrazioni internazionali di massa e l’azione perniciosa della finanza globale. Il collasso si è verificato per il cedimento di alcuni pilastri fondamentali: la governabilità all’interno degli stati, le ideologie, la spesa pubblica, quest’ultima essenziale ai fini dell’acquisizione del consenso o alla riduzione del dissenso.

E poi le disuguaglianze su scala planetaria. Immaginate quanto possa guadagnare un manager di un gruppo come Amazon rispetto a un suo dipendente. Una sperequazione gigantesca. La tendenza all’accumulazione della ricchezza ha fatto perdere al capitalismo una delle funzioni sociali che si era sempre attribuito, quella di ascensore sociale. Uno dei risultati è stata la riduzione della classe media, elemento fondamentale di un sistema che ora è a rischio implosione. Il ricorso al reddito universale come strumento per limitare le conseguenze negative dell’automazione sul lavoro (cioè della disoccupazione) è un’idea elaborata dagli over the top. Non è un caso, infatti assieme al reddito sono venuti a mancare anche i mercati di sbocco dei prodotti delle loro aziende. Ma si tratta di una soluzione in grado di produrre effetti a medio-lungo termine o, inevitabilmente, si alimenteranno le tensioni già in atto ed esploderanno i conflitti?

Fortunatamente la polveriera non è ancora esplosa quindi non tutto è perduto. È in ogni caso oggettivamente  difficile riprendere in mano la situazione senza riferirsi a queste élite che abbiamo visto essere profondamente in crisi. E la ragione è oltremodo evidente: esse concentrano ancora molto potere nelle loro mani. A Wall Street, ad esempio, ogni giorno vengono movimentati enormi volumi di ricchezza, di molto superiori al valore del prodotto interno lordo di un paese sviluppato di medie-grandi dimensioni, sarebbe dunque impensabile tentare di cambiare il corso degli eventi senza interloquire con essi.

Gli argomenti trattati in questo articolo sono stati ampiamente discussi nel corso del dibattito di presentazione del libro “La catastrofe delle élite: potere digitale e crisi della politica in Occidente, scritto da Antonio Pilati ed edito da Guerini e Associati (ascolta la registrazione audio A101 vistando l’archivio di insidertrend.it)  

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