(ARTE TV, documentario 2018 disponibile con sottotitoli anche in lingua italiana) – In Bosnia Erzegovina vengono chiamati i “figli invisibili”. Si tratta dei bambini nati dagli stupri avvenuti durante la guerra nella Jugoslavia del 1992-95, violenze sessuale commesse da uomini appartenenti a milizie ed eserciti diversi, ma anche da militari dei contingenti della forza di pace dell’Onu inviati in missione nei Balcani, i Caschi blu. Vergogna e discriminazione condizionano ancora le esistenze di questi giovani senza padre, tra duemila e quattromila persone. Anja Jusić ha intrapreso una battaglia civile per restituirgli la loro dignità.
Un argomento tabù in Bosnia, Anja Jusić, ventisettenne laureata in psicologia all’università di Sarajevo è anche lei figli degli stupri di guerra. Nel corso del conflitto combattuto negli anni Novanta che oppose serbi, musulmani e croati gli stupri a danno delle donne vennero commessi sistematicamente.
Si stima che vennero perpetrati tra i 20.000 e i 50.000 stupri. «Eravamo come foglie nel vento, sospinte dagli eventi», questo racconta del dopo guerra la madre di Anja, quando vivevano entrambe in una residenza protetta. Le discriminazioni e l’odio sono continuate anche dopo la fine della guerra. La donna dovette affrontare il difficile compito di preservare la figlia, di spiegarle cosa era davvero accaduto, perché la insultavano. Poi, la condizione di figlia di uno stupro si è protratta anche in seguito, tirata fuori a forza dall’inesorabile corso della burocrazia. Richiedere un documento, iscriversi all’università e tante altre cose “normali”. Come lei tanti altri.
Anja si è unita ad altre vittime e insieme hanno costituito Za Boravliena Djeca Rata, l’associazione dei “Figli perduti della guerra”, un sodalizio organizzato che chiede la parità di trattamento e il riconoscimento come vittime di guerra, in modo da ottenere un minimo riconoscimento e ottenere un minimo di tutela contro le discriminazioni.
Ma è difficile. Il gruppo riceve insulti sui social network, vengono chiamati «spazzatura» oppure «bastardo serbo». Anche le loro madri vengono colpite. Vengono insultate, definite “puttane”. Traumi, esclusioni, discriminazioni. I figli invisibili della guerra a volte hanno paura anche di pretendere ciò che dovrebbe essere loro riconosciuto. Nel 2017, durante uno studio sui traumi lei e un suo compagno decisero quindi di fondare il gruppo. Hanno esaminato a fondo le leggi nazionali bosniache e il quadro normativo internazionale, le convenzioni sui diritti dei diritti umani, dei bambini in particolare, e molto altro. Si sono rivolti ad alcuni legali e poi hanno iniziato a parlare del problema in pubblico allo scopo di cambiare le cose.
I figli dei caduti e degli invalidi vengono considerati vittime di guerra e per questo loro status beneficiano di numerose facilitazioni a livello pubblico, i figli degli stupri invece no. Il ricorso presentato dall’associazione Figli del vento è tra i primi sulla delicata materia a essere stato presentato in Bosnia. Vengono percorse le vie legali, se la legge nazionale di uno stato che riceve di sussidi internazionali viola i trattati e le convenzioni internazionali potrebbe essere possibile appellarsi a questa incongruenza per cercare di porre rimedio alle discriminazioni attualmente in atto.
Come la differenza nei sussidi erogati alle donne vittime di stupri di guerra, la sperequazione tra croate e musulmane da un lato, che ricevono circa 300 euro, e le serbe dall’altro, che ricevono invece molto meno.
Dalla fine della guerra, a seguito del trattato di Dayton e degli altri accordi, la Bosnia dipende dagli aiuti dalla comunità internazionale e questa potrebbe rappresentare una “leva” contro la discriminazione. Cambiare le leggi attualmente in vigore, questo è l’obiettivo che si sono posti Anja e i suoi compagni. Restano i traumi che le vittime si trascineranno dietro per tutta la loro vita. Le madri e i figli. Anche quelle che hanno compiuto sforzi enormi per aprirsi agli altri dopo le violenze. Superare il passato, questo dovrebbe essere il loro obiettivo. Ma è difficile, e anche perché lo stigma sociale conseguente alla guerra incide ancora profondamente sulle società.
In Bosnia ha avuto recentemente luogo la prima conferenza sulla psicologia infantile organizzata dalla dottoressa Amra Delić, esperta in traumi che ha condotto i primi studi sulla materia nel Paese balcanico. «i figli della guerra crescono in un mare di esperienze dolorose – ha affermato in quell’occasione – traumi che provocano disturbi psicologici come DPS, somatizzazione o depressione che potrebbero influire su molte generazioni ancora». Inoltre spesso mancano i supporti familiari necessari al recupero dei soggetti colpiti. Persistono infine la recriminazione sociale e il significato dello stupro in una società tradizionale come quella bosniaca.