FRANCIA-ITALIA, crisi diplomatica. L’Italia sarebbe veramente in grado di destabilizzare il sistema politico d’oltralpe?

 

È sensato parlare di un “partito francese” attivo in Italia? Quali logiche informano i comportamenti della classe politica al governo in Italia? Esiste una strategia diretta contro l’establishment che fa capo al presidente della Repubblica francese frutto di una pianificazione, bensì di un tentativo a tratti maldestro di recuperare parte del proprio elettorato da parte del Movimento 5 Stelle, dato in calo di consensi negli ultimi sondaggi? Qualcuno manovra dietro le quinte della politica manipolando la realtà?

 

 

«Non c’è lite con la Francia» ha dichiarato il Vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio nel corso di un incontro con la stampa in occasione della manifestazione di chiusura della campagna elettorale della candidata pentastellata alla presidenza della Regione Abruzzo. «Auspico che i “gilet gialli” possano presentarsi alle elezioni europee – ha poi aggiunto -, in fondo Macron ha da sempre contatti con il Partito Democratico. Io rivendico il diritto di incontrare anche personalità politiche francesi diverse, non si può pretendere di dialogare solo con En Marche».

 

 

Nel frattempo continuano a susseguirsi azioni e dichiarazioni contradditorie: lo stesso Di Maio rende pubblica una sua lettera aperta ai francesi nel tentativo di raffreddare le tensioni, mentre il governo italiano invia a quello francese il proprio dossier sui costi e i benefici della TAV, la ferrovia veloce Torino-Lione.

 

 

L’altro Vicepresidente, il leghista Matteo Salvini – in crescita nei consensi ma in difficoltà per gli sviluppo della sua posizione giudiziaria – lavora sottotraccia nel tentativo di riallacciare le relazioni con Parigi, ma, almeno per il momento, fallisce, poiché il suo omologo francese “risponde picche” alla sua proposta ufficiale di vertice. Poi, però, ritorna al suo atteggiamento di sempre. Quello intransigente. «In Francia sono decenni che dei terroristi condannati in Italia brindano con lo champagne, noi li rivogliamo indietro!», e ancora: «Parigi blocca i migranti alla sua frontiera e ce ne rimanda indietro altri facendoli scaricare dalla polizia nei boschi». Infine la minaccia di far effettuare dalla Polizia di Frontiera dei controlli serrati sui treni in uscita dall’Italia se i gendarmi francesi continueranno a farne sull’altro versante, rallentando così il traffico ferroviario.

 

 

A questo punto la prima osservazione è che il “presidio” costituito dagli uomini inseriti all’interno dell’esecutivo dal Presidente della Repubblica non starebbe reggendo. Essi, infatti, vengono puntualmente bypassati in occasione di non poche importanti decisioni assunte dai ministri di Lega e 5 Stelle. Le posizioni assunte su Afghanistan, Venezuela e Francia hanno fatto sbiadire la figura del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

L’uso inappropriato – in tutti i sensi, purtuttavia sempre più frequente – del termine «premier» per indicare l’uomo al vertice dell’esecutivo risponde probabilmente a una tecnica comunicativa: ripetere continuamente un concetto fin quando questo non si fissa nelle menti dell’opinione pubblica. Ma in Italia il «premierato» non è stato ancora introdotto e Conte si vede sempre più costretto a correre dietro alle mosse dei suoi governanti.

 

 

Come nelle migliori tradizioni complottiste il caso esplode in assenza delle maggiori cariche istituzionali del Paese: Mattarella è in Angola, Conte in Libano ed Enzo Moavero Milanesi in Uruguay. È il black-out diplomatico e politico. Macron richiama a Parigi per consultazioni il suo ambasciatore a Roma. Un gesto di estrema gravità, in reazione, però, a un fatto apparentemente inusitato. Un chiaro monito al governo italiano. Un esponente di spicco dell’esecutivo – il Vicepresidente del Consiglio dei ministri Di Maio – aveva avuto un incontro pubblico con uno dei leader di un gruppo organizzato di contestatori che si oppone duramente al presidente Macron, cioè al capo di uno stato alleato confinante con l’Italia e pilastro fondamentale dell’Unione europea.

 

 

Di Maio ha annunciato il suo sostegno a quello che, forse, è il più controverso tra i leader dei gilets jaunes (i “gilet gialli”), che non ha esitato ad affermare che «il nemico dei suoi nemici è il suo amico». «Il mio nemico». Parole dure come macigni. In effetti, Macron e tutto ciò che rappresenta per delle forze come la Lega e il Movimento 5 stelle costituisce un nemico. Emmanuel Macron, cioè lo statista di un grande e potente paese, la Francia, che in vista di un probabile prossimo ingresso in massa di “sovranisti” nel parlamento europeo si porrebbe come elemento fortemente antagonista.

 

 

Un esecutivo diviso su tutto quello gialloverde, che tuttavia in questo momento non è nelle condizioni di avventurarsi in una crisi di governo, poiché è consapevole che il Quirinale non sarebbe mai disposto a risolverla con il ricorso alle urne. In questo confuso limbo, in attesa delle elezioni europee di maggio e di quelle regionali più ravvicinate, i due maggiori protagonisti sul palcoscenico della politica – alleati al governo nazionale ma divisi e in lotta nell’agone della perpetua campagna elettorale nel Paese – si combattono a “colpi di teatro” i voti degli indecisi e degli esasperati. Un serbatoio di consensi molto capiente di questi tempi.

 

 

I risultati ottenuti col sistema proporzionale applicato alla consultazione per il rinnovo del parlamento di Strasburgo saranno un automatico indice del probabile mutamento degli equilibri politici. Si torna quindi alla comunicazione con l’esterno. Pressante e in forme nuove. Efficace nel breve periodo ma assolutamente scoordinata tra i vari dicasteri e tra le diverse forze politiche al potere, dunque foriera di contrattempi, come sta evidenziando l’incidente diplomatico con la Francia. Un corto circuito frutto della mancanza di unicità di indirizzo, un fattore indubbiamente spiazzante.

 

 

Ma cosa vogliono davvero i due uomini forti della politica italiana? Guardano al breve termine sacrificando tutto per scopi elettorali oppure sono per davvero degli apprendisti stregoni? È lecito, a questo punto, dissertare più o meno fantasiosamente su questa crisi diplomatica formulando delle ipotesi. Se gli attacchi contro Macron e l’ultima trincea dell’establishment anti-sovranista sono deliberati si potrebbe essere portati a pensare che da Roma sia stata orchestrata una operazione destabilizzatrice. Che l’arma sia stata puntata “al bersaglio grosso”.

 

 

Noncuranti dei limiti istituzionali posti a una iniziativa del genere, parte dei vertici del Movimento 5 stelle avrebbero tentato quindi di destabilizzare la Francia fornendo il sostegno alle frange che si oppongono duramente al presidente oggi in carica. Per abbattere l’ostacolo Macron avrebbero agito in modo palese, sfruttando la particolare fase di tensione che attarversa il Paese d’oltralpe. Sfruttando la situazione di caos generata dalla rivolta dei “gilet gialli”, Di Maio e Di Battista avrebbero tentato – o starebbero ancora tentando – di praticare gli ampi spazi apertisi grazie all’ostilità di non pochi francesi nell’attuale classe dirigente al potere a Parigi. Obiettivo finale: colpire il nemico giurato, il “nemico del popolo”, il ladro di sovranità Emmanuel Macron.

 

 

Una destabilizzazione ottenibile attraverso l’impiego spregiudicato di tecniche della comunicazione, in un universo dove regna incontrastata la percezione dei fatti. Ovviamente abbiamo scherzato, si tratta solo di una provocazione. Con ogni probabilità, l’aspra polemica nella quale si sono tuffati a piombo i pentastellati e i leghisti più che una sottile operazione pianificata a tavolino da menti sottili, si dovrebbe configurare come una manovra avventata di natura esclusivamente elettorale.

 

 

Intanto però, dai veleni della crisi diplomatica maturano i primi effetti negativi: Air France si sfila dal salvataggio di Alitalia lasciando col cerino in mano Ferrovie dello Stato, anche se, in verità, la compagnia aerea francese non ha mai manifestato eccessiva disponibilità ed entusiasmo nell’operazione.

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