Redazione insidertrend.it, 31 gennaio 2019 – Oggigiorno i nostri cervelli sono continuamente bombardati da informazioni, tuttavia riusciamo ad appropriarci soltanto di una minima parte di esse. Utilizziamo in eccesso I-phone e smart phone, le statistiche dicono che lo facciamo mediamente ogni dodici minuti. Basta darsi un’occhiata attorno quando ci troviamo in un vagone della metropolitana oppure nella sala d’aspetto di un ufficio pubblico o di uno studio medico.
Gli occhi tutti puntati su quei piccoli schermi con la mente che ricerca notizie, immagini e suoni, che gioca con un videogame. Siamo convinti di controllare lo scibile umano, di possedere la conoscenza, ma in realtà non è affatto così. Infatti le neuroscienze parlano chiaro: molte (troppe) informazioni sono eguali a nessuna informazione. Lo stress derivante dall’applicazione agli schermi dei computer genera dei limiti alla concentrazione, un deficit ai processi analitici. Provate a leggere un libro dopo averlo fatto, vi renderete conto della fatica nel concentrarvi sul testo scritto sulle sue pagine poiché sarà ormai crollata la vostra soglia di attenzione.
Cosa rimane di ciò che guardiamo e ascoltiamo? Beh, ad esempio di un telegiornale i titoli letti all’inizio della trasmissione, forse una parte del primo servizio andato in onda e, quasi sicuramente, l’ultimo filmato, solitamente molto rilassante, come un po’ di gossip o di cronaca rosa. In questo modo i telespettatori saranno tutti più rilassati, anche se in quello stesso momento nel mondo divampano contestualmente centinai di sanguinosi conflitti, o se la criminalità ha ucciso nelle strade della città. Informazioni digeribili per stomaci deboli dell’opinione pubblica.
I moderni comunicatori sono perfettamente consapevoli di questo e quindi agiscono di conseguenza. Essi sanno – perché lo hanno appreso degli scienziati della materia – che dagli schermi e dagli amplificatori delle televisioni passano alle menti degli spettatori un 7% di contenuti (non molto dunque), un 33% del tono delle discussioni trasmesse e un 60% di immagini.
Però, rispetto al passato oggi molte più persone ricorrono a media diversi dalla televisione per informarsi. Nel 2017 le statistiche hanno registrato un 54,5% di italiani che hanno avuto accesso a informazioni da fonti algoritmiche come social network, motori di ricerca vari, aggregatori di notizie come il sito che state visitando ora e portali web.
La comunicazione sui social è semplice, scorrevole e apparentemente meno affaticante per il cervello. Vi si utilizzano grafici, diagrammi e screenshot. Anche quei siti che ricorrono all’informazione cosiddetta “di flusso” inghiotte l’internauta trascinandolo fino in fondo alla pagina mentre ai fianchi questi viene bombardato dalla pubblicità.
Modelli comportamentali e di successo, miti, ingenerazione di bisogni e consumi indotti stanno conducendo anche questo paese verso una situazione di tipo “americano”. In effetti, negli Stati Uniti d’America si rinviene l’ultimo paradigma della comunicazione in ordine di tempo e a Donald Trump ne viene attribuita la paternità, sebbene l’attuale inquilino della Casa Bianca in realtà non sarebbe il vero “fondatore” della nuova persuasione occulta, ma soltanto il suo sdoganatore. Al tichoon va comunque riconosciuto di avere rotto gli schemi col passato, negando recisamente l’expertise egli ha comunicato in maniera diretta con un’opinione pubblica frustrata e impoverita, ha “twittato mirando alla pancia dell’elettorato”.
Una svolta epocale. Secondo la dottoressa Silvia Francescon di ECFR Roma – intervenuta al convegno – Trump non sarebbe un anti-establishment solo in campagna elettorale, ma anche dopo. Dal cambiamento che ha apportato non si tornerà più indietro. Con una campagna elettorale che oggi non finisce mai, dato che è ormai perenne e si serve di nuovi modi e strumenti di espressione in un continuo scontro propagandistico che ha sempre meno i connotati di un confronto di idee, che, però, sortisce effetti dirompenti in termini di consenso.
Siamo al rifiuto delle “élite competenti” da parte delle masse (pardon, del popolo), l’uomo medio si nutre nei social e vive la fase epocale segnata dalla crisi dell’intermediazione dei tradizionali mezzi di comunicazione di massa. Secondo Antonio Villafranca (ricercatore dell’ISPI) «i fatti all’origine delle informazioni rappresentano il passato, mentre oggi non sarebbero più possibili letture distorte di essi, in quanto nella post-realtà non si conoscono le origini delle informazioni».
La sfida alle élite è dunque quella posta dall’adeguamento alle sopravvenute condizioni, con la consapevolezza, tuttavia, che non esistono risposte semplici a problematiche complesse. Un compito difficile quello di educare la società civile alla complessità, ma non c’è alternativa se non la deriva della società.
Allora, come spiegare all’opinione pubblica crisi, ad esempio, come quella venezuelana che è in atto? Come replicare con argomenti persuasivi alle domande semplici dell’uomo medio diradandone il fisiologico alone di scetticismo che lo avvolge evitando al contempo di lisciargli il pelo e a non intaccare gli interessi fondamentali del Paese? In che modo rappresentare efficacemente l’essenza intima di un fenomeno evoluzionistico come quello migratorio? E lo scontro di potere intestino al mondo islamico, che riverbera i suoi mortiferi effetti sull’Occidente? Economia, strategia, conflitti: sono davvero cose troppo grandi per il signor Rossi
Dal 1989, cioè dall’implosione del blocco comunista dell’Est, di pari passo con l’accelerazione della globalizzazione la complessità del mondo è cresciuta e con essa il bisogno di risposte nei termini di una visione complessiva della politica estera di un paese. Infatti, essa non è più di esclusivo appannaggio dei diplomatici e degli alti burocrati posti ai vertici delle amministrazioni degli stati, ma è divenuta il frutto dell’intero sistema-paese.
I Think tank (letteralmente serbatoi di pensieri) sono quelle organizzazioni che dovrebbero rendere più potenti le intelligenze collettive, contribuendo a un maggiore equilibrio nella visione della realtà e accrescendo la competenza in determinate materie. In Italia esistono 114 think tank, non sono moltissimi se la cifra viene paragonata a quella degli Usa (1.172), della Cina Popolare (507), della Gran Bretagna (381) e di Germania e Francia (rispettivamente 218 e 213). Dunque è necessario crescere in questo settore, sfruttando il crescente interesse per la politica estera manifestato dalle giovani generazioni di questo Paese.